Celiachia e malattie infiammatorie intestinali: scoperto ‘interruttore’ chiave

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E’ stato scoperto un ‘interruttore molecolare’ che sembra causare le malattie infiammatorie intestinali – morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa – e la celiachia; una scoperta che potrebbe portare a trattamenti più efficaci e mirati. Lo confermano i risultati di una ricerca, condotta da scienziati del King’s College di Londra e dello University College di Londra (UCL) che sono stati pubblicati sulla rivista PLOS Genetics.

La scoperta
A svolgere questo ruolo chiave è una molecola del sistema immunitario chiamata T-bet, che regola il rischio genetico in malattie specifiche. T-bet svolge un ruolo importante nel coordinare le risposte immunitarie e, in pazienti con infiammazione intestinale cronica, e quando ha un comportamento anomalo, provoca la reazione immunitaria che porta allo sviluppo dell’infiammazione intestinale. Questo indicherebbe che, per la prima volta, i ricercatori possono avere un obiettivo specifico su cui indirizzare gli sforzi per mettere a punto nuovi trattamenti per queste condizioni autoimmuni croniche che colpiscono milioni di persone al mondo. Una grande quantità di lavoro, nel corso degli ultimi dieci anni, è stato fatto sulla predisposizione genetica alle malattie autoimmuni come in effetti sono quelle infiammatorie intestinali e la celiachia. Tuttavia, è stato molto difficile sviluppare trattamenti efficaci perché nello sviluppo di queste malattie sono coinvolti un gran numero di geni e ciascuno contribuisce in una parte molto piccola.

Commenti degli autori
“La nostra ricerca delinea un focus specifico su cui concentrarsi per lo sviluppo di nuove terapie per queste malattie che hanno un effetto profondo sulla vita dei malati”, ha commentato uno degli autori senior dello studio, Graham Lord del King’s College London. “Capire come il nostro DNA influenza il nostro rischio di sviluppare malattie specifiche – aggiunge il coautore Richard Jenner, dell’UCL Cancer Institute – è la chiave per lo sviluppo di terapie di precisione per le più gravi malattie. C’è ancora molto lavoro da fare prima di arrivare a nuovi trattamenti, ma questa scoperta è un significativo passo avanti”.

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